Eleonora Pischedda
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Profilo
Sono una studiosa di storia antica, specializzata in economia, diritto e antropologia del mondo antico. Mi sono laureata all’Università di Siena in Documentazione e Ricerca Storica (indirizzo Storia Antica) e ho conseguito il dottorato di ricerca all’Università di Pisa in Archeologia e Scienze dell’Antichità (curriculum Antropologia del Mondo Antico).
Attualmente sono ricercatrice senior presso l’Università di Siena, Dipartimento di Filologia e Letterature Classiche e Moderne. Le mie principali aree di ricerca riguardano l’economia pubblica e privata nella Grecia classica, l’amministrazione finanziaria ateniese nel IV secolo a.C., la spesa pubblica ateniese in ambito militare, l’oratoria dopo la guerra del Peloponneso (con particolare attenzione a Senofonte, Isocrate e Demostene), il diritto greco (soprattutto in relazione alla sfera commerciale).
Abstract progetto di ricerca
“Public speech and civil liability. Rhetors and the legal consequences of one’s words in classical Athens”
La parola ha un enorme potere, può trasformare in nullità il bisogno dell’individuo, appiattendo tutti in un unico movimento. In ambito militare, prima ancora di incitare e infondere coraggio, essa può e deve persuadere: una guerra deve essere prima di tutto votata e dichiarata!
Un retore ha il potere di determinare il destino collettivo di una polis, assumendo su di sé una grande responsabilità morale e civile. Quando prende la parola in assemblea, l’oratore ha davanti a sé non soltanto dei cittadini, ma anche (e soprattutto) dei possibili soldati. Il suo compito è quello di convincere i cittadini ad abbandonare i propri affari e la sicurezza del focolare domestico, in nome di un ideale o un bene collettivo superiore. Ma se questo viene fatto in nome della gloria personale, se si sceglie di mentire, omettere informazioni fondamentali e condurre la città alla rovina, pur di perseguire i propri interessi personali, si può incorrere in un’accusa formale?
In epoca classica esisteva il processo per εἰσαγγελία, una procedura straordinaria limitata di solito ai casi di reati contro la sicurezza dello Stato. Le fonti riguardanti il nomos eisangeltikos parlano sovente di promesse ingannevoli. Una delle fonti principali su questo nomos è costituita dall’orazione di Iperide Contro Eussenippo (29, 39): si veniva trascinati in giudizio se si attentava alla democrazia (organizzando, per esempio, dei complotti o radunando dei seguaci), se si cedeva con l’inganno una città o si consegnava nelle mani del nemico la flotta e/o l’esercito, se in qualità di pubblico oratore non si consigliavano le cose più giuste e migliori per il popolo. Si può quindi essere citati in giudizio se si cede proditoriamente una città, le navi o i soldati al nemico; si fugge presso una polis ostile per combattere al suo fianco; se in qualità di pubblico oratore si attenta alla democrazia in cambio di denaro. Le promesse ingannevoli al popolo erano considerate un crimine molto grave ed estremamente pericoloso per il corretto funzionamento del processo democratico (Dem. XX.100, 135; XLIX.67). Tutte le fonti concordano nel parlare di oratori pubblici e false promesse, inoltre è certo che tale procedimento potesse interessare soltanto i cittadini.
Determinare quando e come il retore avesse commesso un simile reato non doveva però essere un’impresa semplice. Dimostrare poi che egli aveva mentito ben sapendo di mettere in pericolo la polis quasi impossibile.
Appare di notevole interesse cercare di capire la natura di un simile reato e da dove nasce la convinzione che il retore potesse essere chiamato a rendere conto in sede giudiziaria delle proprie parole. Ma ancora più interessante è forse capire in che modo e con quali espedienti l’oratore potesse riuscire nel suo intento evitando di farsi carico della responsabilità civile delle sue parole.